Riguardo ad un sigillo templare…

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E’ assai noto il sigillo templare che mostra due cavalieri su uno stesso cavallo.
Il significato è stato variamente interpretato ma non è certamente, come qualcuno ha scritto, un riferimento alla regola di povertà dei cavalieri. Sciocchezze. Ci pensate che razza di efficienza in combattimento avrebbero avuto? La Regola imponeva ai Templari di non possedere più di tre cavalli ciascuno, altro che di andare in due su uno solo!
Il significato del sigillo è esoterico ed è una conferma che all’interno del Tempio esisteva un insegnamento segreto, analogo a quello dei Fedeli d’Amore. Sui rapporti fra Templari e Fedeli d’Amore rimando ad un mio recente articolo uscito sul numero di giugno 2009 della rivista Prometeo: “Madonne del Parto e Gnosi dei Templari” (Mondadori, 2009).
Francesco da Barberino, anch’egli fedele d’amore, nei suoi Documenti d’Amore, un trattato esoterico sapienziale dell’inizio del XIV secolo, ci ricorda che il cavallo è simbolo della natura umana, perché ritenuto l’animale più simile all’uomo. Ne consegue che la figura del cavaliere diventa facilmente allegoria dell’anima che guida e governa il corpo. Anima e corpo dipendono l’uno dall’altra; e questa unione così intima e salda appare analoga a quella che ha reso, dal Medio Evo fin quasi all’era moderna, il cavallo ed il cavaliere non solo una poderosa macchina da guerra, ma anche una figura simbolica carica di una straordinaria sacralità.

Ma i Templari ponevano sul cavallo due cavalieri e non uno. Perché?

La risposta dimostra che nel Tempio si perpetuava una tradizione esoterica antica, secondo la quale la natura umana non è duplice, cioè non è fatta solo di corpo e di anima, ma è triplice, ad immagine della triplicità divina. La nostra società ha perso la consapevolezza di questa tripartizione, che non è solo mistica ma reale, abbandonandosi ad un fuorviante dualismo fra anima e corpo, fra materia e spirito, che è estraneo alla creazione. Il dualismo appartiene ad un ramo distorto della Gnosi, quello dei Manichei. Non appartiene tuttavia ai Catari che, pur eredi in occidente della tradizione manichea, avevano invece piena consapevolezza della tripartizione della persona.
La vera Gnosi, quella mistica, conduce alla certezza dell’unità androgina della nostra natura ed al ruolo misterioso che l’uomo occupa nell’universo, quale mediatore fra cielo e terra: “Ti ho collocato come centro del mondo perchè da lì tu potessi meglio osservare tutto quanto è nel mondo. Non ti creammo né celeste né terrestre, né mortale né immortale, in modo tale che tu, quasi volontario e onorario scultore e modellatore di te stesso, possa forgiarti nella forma che preferirai. Potrai degenerare negli esseri inferiori, ossia negli animali bruti; o potrai, secondo la volontà del tuo animo, essere rigenerato negli esseri superiori, ossia nelle creature divine” (Pico della Mirandola).

Nell’alchimia interiore, le tre realtà che formano l’unità della persona sono simboleggiate dai tre elementi dell’Opera: zolfo, mercurio e sale, dove lo zolfo sta per l’anima, il sale per il corpo ed il mercurio per lo spirito che lega entrambi e rende possibile la trasmutazione.

E’ lo spirito infatti il terzo elemento, il secondo cavaliere del sigillo templare. Lo spirito non è un sinonimo di anima, ma una specifica materia immateriale che partecipa insieme della natura dell’anima e di quella del corpo. L’anima è celeste, il corpo è terrestre, lo spirito è il principio nel quale entrambi confluiscono ed il loro legame, come affermava nel XV secolo il neoplatonico Marsilio Ficino: “Tre cose sanza dubio sono in noi: anima, spirito e corpo; l’anima e il corpo sono di natura molto diversa; congiungonsi insieme per mezzo dello spirito”.

Non si trattava per Ficino di un rigurgito di paganesimo, perché anche San Paolo aveva affermato esplicitamente, rivolgendosi ai greci di Tessalonica, la triplicità della natura umana: “Tutto il vostro essere, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la Parusia del Signore nostro Gesù Cristo”.

Ecco allora che i due cavalieri del sigillo templare vanno interpretati come immagine della duplice parte invisibile che ci costituisce ed è trasportata dal corpo: uno dei cavalieri è l’anima, l’altro lo spirito; il cavallo è il corpo.

A sua volta anche l’anima, seguendo Aristotele, appariva al pensiero medievale tripartita: vegetativa, animale e intelligente. Ed era logico che fosse così, perchè tutto ciò che è di natura divina si riteneva imperniato sul Tre e sulla Potenza del Tre, il Nove. La parola “potenza” non è solo un’espressione matematica ma significa esattamente Forza, Energia. Per questo il Nove è definito da Dante il miracolo, cioè l’energia effusa dalla Trinità creatrice, la potenza del Tre. I numeri sono infatti un misterioso specchio dell’arcana vita divina. Dante identifica il Nove con Beatrice, allegoria della gnosi dei Fedeli d’Amore. Ma questa gnosi, simboleggiata dal numero nove, era comune anche ai Templari, dei quali forse i Fedeli d’Amore costituivano una confraternita laica. Molta della vicenda templare si impernia infatti sul numero nove.

Dunque la persona è costituita da cinque elementi: l’anima triplice, lo spirito ed il corpo. E l’uomo anche nel corpo sembra davvero imperniato su questo numero cinque, perché cinque sono le dita, cinque i sensi, cinque gli arti più il busto. La natura era per gli antichi formata da quattro elementi. Anche il tempo e lo spazio apparivano regolati dal numero quattro: quattro le stagioni, quattro i cicli lunari e le settimane, quattro le direzioni dello spazio. Ma l’uomo sembrava invece rispondere ad un ritmo quintuplice, e questa pareva la dimostrazione che a lui fosse stato aggiunto qualcosa di molto più grande, a lui ed a lui solo: la quintessenza. Il quinto elemento spirituale che solo consente di costituirsi tramite fra Cielo e Terra.

Un capitello della pieve di San Pietro a Cascia, nel Valdarno fiorentino, presenta una indiscutibile analogia col sigillo templare. Vi si vedono due cavalieri su uno stesso cavallo. L’analogia è forte anche se, contrariamente all’emblema templare, nel capitello il secondo cavaliere è più piccolo del primo al quale si tiene avvinto con le braccia. Anima e Spirito abbracciati cavalcano il Corpo. Lo Spirito abbraccia l’Anima e la tiene saldamente ancorata al corpo.

Non risultano magioni templari nella zona, che pure era collocata sulla Cassia Nuova che conduceva a Roma. Dunque il capitello fa ipotizzare il riferimento ad una tradizione esoterica, che aveva origine comune con quella templare ma che non era esclusiva del Tempio. L’interpretazione della tradizione appare infatti diversa. Nel capitello di Cascia sembra instaurarsi una gerarchia fra Anima e Spirito, perché uno è più piccolo dell’altra. Come abbiamo detto, anima e spirito sono nature diverse. Lo spirito è il tramite fra la materia e l’anima, fra il Cielo e la Terra, il legame fra il mondo visibile e quello invisibile. Il cavaliere più alto, lo spirito, è saldamente ancorato al cavallo, cioè alla materia; il cavaliere più piccolo, che ritengo l’anima, sta sul cavallo e nello stesso tempo si tiene saldo al cavaliere più grande, senza il supporto del quale finirebbe col  cadere ed abbandonare il corpo.

Nel sigillo templare Anima e Spirito hanno invece la stessa dignità ed entrambi cavalcano con identica sicurezza il loro animale.

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