La sacralità dei numeri nei Vangeli

I numeri dei Vangeli

Nei quattro vangeli canonici troviamo indicati dei numeri. Il più delle volte sorvoliamo su di essi come elementi secondari del racconto. Eppure mai il numero in un testo sacro va sottovalutato. Il numero esprime una realtà trascendente, veicola il mistero e fornisce la chiave per penetrarlo. Per gli antichi infatti il numero è una realtà viva, angelica potremmo dire, della quale è intessuto l’universo.

Il 12.

Il numero più evidente è quello degli apostoli, che sono 12 come le tribù di Israele. In entrambi i casi il 12 è simbolo del cosmo, che fin dall’epoca mesopotamica gli antichi riassumevano nelle 12 costellazioni dello zodiaco. La circolarità della volta celeste si esprimeva poi in un multiplo del 12, i 360 gradi con cui ancora oggi dividiamo il cerchio.

Il Cristo si circonda di 12 apostoli a significare che egli è il Signore del cosmo, il centro attorno a cui ruota tutto l’universo, il Verbo dal quale scaturisce e si espande tutto ciò che esiste.

I numeri nella moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Ma c’è un altro brano riportato in tutti e quattro i vangeli canonici, nel quale i numeri hanno un significato che non deve essere sottovalutato. Mi riferisco all’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci. C’è una particolare concordanza nei numeri riportati dai quattro evangelisti, che non è casuale e dimostra che quei numeri veicolano per noi un messaggio.

C’è una moltitudine da sfamare che Matteo calcola in 5.000 uomini oltre alle donne e ai bambini.

I discepoli hanno solo 5 pani e 2 pesci. Il Cristo li fa distribuire alla folla, divisa in gruppi di 50 secondo Marco e Luca. Tutti ne mangiano tanto da farne avanzare 12 ceste.

Torna dunque ancora il numero 12, come prodotto di altri due numeri: il 5 ed il 2. Cosa significano questi due numeri che permettono la moltiplicazione e generano il numero del cosmo?

Il 5

La folla, quindi l’uomo, risponde al numero 5 perché si tratta di 5.000 uomini che vengono divisi in gruppi di 50.

Numero particolare è il 5, per gli antichi ed in particolare per i neoplatonici, carico di significato sacro. Tutto il cosmo si riteneva formato da 4 elementi: terra, acqua, aria e fuoco. Ma Platone aveva detto che esiste un quinto elemento, la quinta essenza. E’ questo la materia misteriosa, invisibile, impalpabile, di cui tutto l’universo è costituito e dalla quale trae origine e vita. Questa quinta essenza è dunque lo Spirito, l’anima del tutto.

Plutarco scriveva come il triangolo rettangolo sacro agli Egizi contenesse un simbolismo profondo. Si trattava di un particolare triangolo rettangolo pitagorico, quello con i cateti rispettivamente di 3 e di 4, ai quali corrisponde un’ipotenusa pari a 5.

Sosteneva Plutarco che il cateto 3 vi è simbolo del padre, il 4 della madre ed il 5 del figlio, che è dato infatti dalla radice quadrata della somma delle potenze del padre e della madre. Il 5 è inoltre la somma del 3 e del 2, simboli numerici della divinità fecondatrice il primo e della madre feconda il secondo. Fecondato, il 2 è simboleggiato dal 4. La creazione è per questo riassunta nel 7 (i 7 giorni), somma del padre e della madre fecondata.

Il 5 come Spirito e Sapienza

Il 5, somma a sua volta del padre e della madre, è dunque per gli antichi il Figlio, per i Cristiani il Logos o Verbo, Sapienza creatrice. “In principio era il Logos” inizia il prologo del Vangelo di Giovanni, in greco “En arkè”. Volutamente è la stessa parola con cui inizia Genesi, che nella traduzione greca dei Settanta è “En Arkè”, (“bereshit, in principio“). A questa segue l’immagine dello Spirito che si libra sulla superficie delle acque, simbolo queste della materia informe primordiale.

Ecco con il 5, numero dello Spirito, manifestarsi ai nostri occhi il mistero della duplicità misteriosa della Sapienza creatrice, che riassume il maschile e il femminile ed è simboleggiata dall’icona di Maria che tiene in braccio il Figlio. Icona che non casualmente caratterizza la piccola abside, rivolta al solstizio di inverno, della grande cattedrale di Costantinopoli intitolata alla Divina Sapienza.

Il Figlio ha dunque in sé l’immagine e la somiglianza col padre e la madre, che in realtà sono una cosa sola in Dio.

Il Figlio è il Cristo, ma anche ogni persona spirituale, come ricorda San Paolo nella prima lettera ai Corinti: “L’uomo terrestre non comprende le cose dello spirito di Dio; sono follia per lui e non è capace di intenderle perché se ne giudica solo per mezzo dello spirito. L’uomo spirituale al contrario giudica ogni cosa senza poter essere giudicato da nessuno” (1Cor 2,14-15).

Ogni uomo o donna spirituale è un Figlio di Dio, unto come il Cristo, che è la Primizia (1Cor 15, 20).

L’uomo spirituale

Possiamo ora tornare all’episodio evangelico.

Gli evangelisti non intendono una moltiplicazione materiale di 5 pani e di 2 pesci, ma una trasmutazione spirituale. Lo Spirito, il 5, congiunto alla materia, il 2, apre la strada alla Sapienza creatrice e da questa unione scaturisce il cosmo, le 12 ceste.

Il Logos, il 5, si incarna (si congiunge al 2) e si manifesta così Signore dell’intero universo (il simbolo cosmico del 12).

Analogamente l’uomo spirituale (le 5.000 persone in gruppi di 50), perviene alla Sapienza, alla Conoscenza dell’unità profonda dell’universo e della vita, all’unione con Cristo Primizia ed in Lui con la Mente che è il Tutto. Sublima la materia e la plasma, creandola nuovamente, acquistando la consapevolezza dell’intelligenza cosmica che la pervade

Come scrive Luca: “…Chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che lo chiedono?” (Lc. 11, 11-13). Mi ha sempre colpito l’apparente contraddizione di questo brano di Luca: Gesù sembra invitare a chiedere a Dio le cose materiali necessarie alla vita, ma conclude sorprendentemente che ciò che verrà concesso è lo Spirito. Perché lo Spirito è l’unica cosa che conta e contiene le altre.

Conclusione

Chi ritrova lo Spirito che custodisce nel profondo della propria essenza, è come Maria che accoglie il Verbo nel suo grembo. Ed attraverso di lui il Verbo opererà, come nei 72 discepoli inviati nel mondo (Lc 10, 1-24). L’uomo spirituale sarà fratello di tutto e tutto potrà plasmare, perché lo Spirito pervade ogni cosa. Potrà imporre le mani e risanare, anche da lontano, potrà leggere nei cuori, potrà svincolarsi dai limiti del tempo e dello spazio, dal peso della gravità, potrà come santo Francesco parlare la lingua degli esseri alati.

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