IL QUINTO EVANGELO

La Chiesa antica fra tutte le narrazioni dell’insegnamento e dell’Annunzio di Cristo ne scelse quattro. Non lo fece perché ritenesse inattendibili tutti quelli che chiamiamo apocrifi: anche fra questi testi si racchiudono spesso verità profonde. Lo fece perché quattro è il numero attraverso il quale si esprime la totalità di ciò che lo Spirito manifesta nello spazio e nel tempo. Come ho altre volte ripetuto, il quattro è infatti il numero che racchiude come in un solido tutta la nostra esistenza. Quattro sono le direzioni dello spazio entro le quali ci muoviamo, quattro sono gli elementi di cui la nostra materia è costituita, quattro sono le fasi lunari e le stagioni che scandiscono il tempo.

Così quattro sono i pilastri su cui si appoggia il Trono celeste, attraverso i quali Esso si incunea e si manifesta nella nostra dimensione. Questi pilastri apparvero alla coscienza del profeta Ezechiele come quattro Cherubini che, associati ad altrettante ruote, sostenevano il Carro del Trono. Un cherubino aveva aspetto di uomo, un altro di leone, un altro ancora di aquila, l’ultimo di bue.

Anche Giovanni ebbe una visione arcana analoga a quella di Ezechiele e nell’Apocalisse descrisse quattro viventi intorno al Trono, uno simile ad un leone, un altro simile ad un toro, il terzo con l’aspetto di uomo e il quarto di aquila.

Così gli evangeli, come pilastri che sostengono e manifestano la Parola, non potevano che essere quattro. E la tradizione sacra associò i nomi degli evangelisti canonici ai simboli dei quattro viventi.

Ma oltre ai quattro elementi ne esiste un quinto, invisibile, nel quale la materia e lo spirito si toccano e si fondono: la quintessenza. L’uomo ne è intriso, tanto è vero che la nostra figura è caratterizzata proprio dal numero cinque che troviamo impresso nelle mani, nei piedi, negli arti, nei sensi. All’uomo e solo all’uomo è data la quintessenza, lo spirito immateriale eppure materico, nel quale i quattro elementi si sublimano nell’energia per la quale tutto l’universo vibra all’unisono.

Così esiste un quinto evangelo, segreto e nascosto, nel quale i quattro canonici trovano il loro compimento. Non è stato mai scritto, ma è destinato a tutti coloro che lo cercano. Le sue lettere sono impresse con caratteri di fuoco nella quintessenza, invisibili all’occhio, inudibili all’orecchio, intangibili al tatto, inodori all’olfatto. Il rotolo che lo racchiude può essere solo gustato col palato, come l’Eterno ordinò ad Ezechiele: ”Figlio dell’Uomo, mangia ciò che hai davanti, mangia questo Rotolo…Nutrisci il ventre e riempi le viscere con questo rotolo che ti porgo… Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele”(Ez.3, 1-3).

Il quinto evangelo è racchiuso nell’oscurità delle nostre viscere, nel profondo della nostra coscienza. Lì e solo lì, visitando il profondo della nostra terra, troveremo la pietra nascosta e leggeremo le sillabe arcane che vi sono scolpite, scandiremo i suoni che infusero lo Spirito nella materia, quando questo aleggiava sulle acque.

Il quinto evangelo non è stato infatti impresso da mano d’uomo, ma dal Verbo stesso. Solo la sua grazia può manifestarlo a chi lo chiede con umiltà e perseveranza. Sta scritto: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” (Lc, 11,9-11).

Il quinto evangelo. quello dello Spirito, non può essere associato al simbolo del toro, né dell’uomo, né dell’aquila, né del leone, né di altro vivente. Se un’immagine può evocarne la natura alla nostra intuizione, non potrà che essere quella della coppa o del vaso, il simbolo sublime che caratterizza il fregio della Cupola della Roccia e tante cattedrali d’Occidente. E’ il simbolo che l’esoterismo islamico chiamò Coppa del re Jamschid, che la sapienza occidentale definì come Coppa del Graal.

Questa coppa ha la forma del sole, il suo colore è quello dei gigli dei campi. Eppure la coppa non è il Graal, ma solo il suo Trono. Il Graal è ciò che la coppa contiene, un Verbo che inebria come il vino e sospinge nell’esperienza dell’eterno: il quinto Evangelo.

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