La Veste del Verbo

Il Sacerdote, investito di questo ruolo per il potere di una Tradizione Sacra, impone le mani sull’ostia nascosta nel calice e quindi la solleva con delicatezza e la ostende. Con quella imposizione delle mani l’ostia ha subito una profonda trasmutazione ed è divenuta la veste del Verbo ed il Verbo l’ha indossata.

A Lui non è stata offerta una veste qualunque, ma adeguata al suo rango:

è candida, perché il bianco è pura luce, senza macchia, come il sole, ed il Verbo è luce (erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt Gv. 1,4-5);

è un cerchio perfetto, perché è immagine dell’universo, e in essa si racchiude realmente l’universo intero, che è la veste prima del Verbo (Ómnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat Gv.1, 3-4);

è esile, perché il Verbo non si manifesta nel tuono e nella tempesta, ma nella brezza sottile, in una vibrazione dolce dell’aria (Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo, da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì Elia si coprì il volto con il mantello. 1 Re, 19, 11-13).

Quella imposizione delle mani, quella ostensione, sono un atto magico?

In un certo senso, ma molto di più: il sacramento rende sacro, per la potenza della ritualità di una Tradizione ancestrale più antica del cristianesimo stesso; e rendere sacro significa immergersi nelle profondità della vita misteriosa del cosmo, partecipare della terribile energia che il Verbo vi imprime (Terribilis est locus iste Gn.28,17), dove nella lingua sacra il termine terribile indica la maestosa potenza del divino.

Sì, accogliendo con questa certezza quell’esile supporto, attingiamo la forza stessa della creazione ed al Verbo offriamo una nuova casa, il nostro stesso corpo: Domine non sum dignus ut intres sub TECTUM meum, sed tantum dic Verbum et sanabitur anima mea. Così recita la formula della Tradizione, che una chiesa dimentica di sé ha sostituito con un banale e socialmente accettabile Non son degno di partecipare alla Tua mensa.

Sì, con quell’atto che travalica per potenza ogni magia, se la nostra partecipazione è consapevole di questa terribilità, il Verbo è in noi e noi siamo il Verbo.

Ma se tutto si riduce ad un gesto vuoto, abitudinario, oltraggiamo il Verbo e questo atto diventa per noi condanna.

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