Dal sigillo templare alla Queste del Graal

Il sigillo templare di cui ho parlato, con i due cavalieri simbolo delle due nature, su un medesimo cavallo, simbolo del corpo materiale, implica un’altra immagine. Quella del cavaliere inginocchiato e immerso nella luce, giunto alla fine della Queste. Allora le due nature, l’anima e lo spirito, si fondono in una, l’androgine ritrova l’unità perduta, l’angelo si riappropria della sua parte dispersa.E’ questo il senso profondo del mito del Graal.

cavaliere

Il simbolo misterioso del Graal apparve improvvisamente nella letteratura occidentale e rapidamente si diffuse: Chretien de Troyes tra il 1181 e il 1190, alla corte di Champagne, compose il Perceval, ou le Conte du Graal. Egli descrisse il Graal come una sorta di vassoio largo e profondo, dai poteri straordinari. Lo stesso simbolo usò anche Elinardo di Montfroid, all’inizio del ‘200. Attorno al 1220 Robert de Boron scrisse in versi il Roman de l’Estoire du Graal, che è più conosciuto come Joseph d’Arimathie. Seguirono romanzi in prosa, come il Didot Perceval e il Perlesvaus, poi il Lancelot, scritto fra il 1215 e il 1235 e la Queste du Saint Graal, quest’ultima di ambiente cistercense.
Ma il componimento forse più suggestivo venne scritto all’inizio del XIII secolo da Wolfram von Eschembach, figlio cadetto di un nobile tedesco: si tratta del Parzival nel quale il simbolo del vassoio, del quale ancora rimangono allusioni, viene assorbito da quello di una pietra. Nella storia si intrecciano temi alchemici e catari, in un sincretismo misterioso nel quale le suggestioni ed i richiami simbolici sono molteplici. Wolfram si discosta intenzionalmente da Chretien e dagli altri che lo hanno preceduto, sostenendo di riferirsi ad un’altra tradizione.

L’origine della parola “graal” viene fatta risalire ad un termine presente nella lingua d’oil fin dal XII secolo, “graaus”, di cui graal era il complemento. In provenzale questa parola diventava grazal, da cui il savoiardo grolla. Essa deriverebbe dal latino crater ed indicherebbe, secondo quanto riferisce Elinaldo nell’VIII secolo, un recipiente “ex ligno, terra metallove…”,rivestito di materiale prezioso “argentea, vel de alia pretiosa materia” .
In un dialogo ermetico, “Il Cratere”, il simbolo del recipiente è collegato al tema della Conoscenza. Ermete spiega al discepolo Tat che Iddio ha posto la Conoscenza in un grande vaso (crater), invitando quindi gli uomini ad immergersi in esso. Chi avrà accolto l’invito, questi sarà iniziato ai misteri più profondi e diventerà un perfetto.
Anche la mistica islamica riprese il tema ermetico del cratere, trasferendolo nella coppa del mitico re Jamshid. Di questa cantarono Omar Khayyam nell’XI secolo, definendola il calice dei sette anelli, e il persiano Hafez nel XIV secolo:“Per molti anni il nostro cuore ricercò la coppa di Jamshid fuor di noi stessi e chiese allo straniero come grazia ciò che il cuore stesso possedeva” .
La coppa rappresenta l’occhio invisibile, la visione del soprannaturale che scaturisce dal cuore. Nel Corano si trova spesso l’espressione coloro che hanno cuore per indicare i mistici, mentre della maggior parte degli uomini si trova scritto: “non sono ciechi i loro occhi, bensì i loro cuori”, affermando così l’esistenza di una visione spirituale.Il profeta Maometto, narra ancora il Corano,si fece portare una coppa di acqua e vi gettò dentro tre pizzichi di sale, dicendo che il primo rappresentava la legge, il secondo il sentiero della dimensione interiore, il terzo la conoscenza suprema di Dio.
E’ interessante notare come la lettera araba q, che è un suono gutturale, venga spesso resa con la nostra g, Questo avveniva soprattutto fra i popoli assoggettati dagli arabi, di etnia diversa rispetto a quella dei conquistatori,come in Spagna. Si può allora notare un’affinità interessante fra la parola GraaL e quella araba QLb, GLb, che significa cuore, anima. Il che ci riconduce sia al simbolismo del recipiente, perché il cuore era per gli antichi la sede dell’anima e della sapienza, sia a quello alchemico.

Il motto alchemico VITRIOL significa: Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem, che in italiano sta per: Visita la Profondità della tua Terra e Operando in essa Troverai la Pietra Nascosta. Si tratta dunque di un invito ad immergersi nella profondità del proprio cuore, come nel cratere ermetico della conoscenza, e lì ricercare la vergine Sophia che vi giace invisibile, come una Pietra nascosta. L’operazione sui minerali non è altro che uno specchio di quella spirituale: le due nature minerali sono simbolo di quelle occulte di ogni persona. Le nozze, ossia la congiunzione con il principio divino nascosto nel profondo,danno origine alla pietra dei filosofi e ad un’entità angelica nella quale anima e spirito si assorbono a vicenda.

Tutti questi temi sono particolarmente evidenti in Wolfram von Eschembach, che definisce il Graal come una Pietra, il Lapsit Exillis, custodita dai cavalieri Templari. Egli descrive anche un rito misterioso: il giorno del venerdi santo una colomba discende dal cielo e reca il Graal. Si tratta di un riferimento piuttosto esplicito al rito cataro del Consolamentum, che veniva amministrato il venerdi santo: un battesimo spirituale mediante il quale lo Spirito Paraclito recava al nuovo perfetto la vera Gnosi.

Nel Graal confluiscono dunque simboli ermetici, alchemici, gnostici, che si riferiscono ad un viaggio interiore alla ricerca del principio di trascendenza che è in noi, occultato e assopito dalla materia e dalle sue necessità.Il Graal sembra dunque corrispondere ad un risveglio della parte divina dell’uomo e dei poteri che le sono connaturati.L’ermetismo usa frequentemente l’espressione “indiarsi”, riferita alla capacità dell’uomo di diventare come Dio, unendosi come ad una compagna con la Sophia femminile che vive in lui.
Questa compagnia interiore, che gli antichi chiamavano anima razionale e figurarono come una fanciulla, è la femminilità divina che è in noi. Gli gnostici la simboleggiarono in Sophia, i Cabbalisti la identificarono con la decima sephirà, la Schekhinah, i trovatori ed i poeti stilnovisti con la loro Dama misteriosa. I Catari, eredi dell’eresia gnostica, usarono il nome di Maria Maddalena, che i vangeli gnostici avevano detto sposa di Cristo perché simbolo dell’anima prigioniera della materia e liberata dal Salvatore. Ecco dunque che il Graal rappresenta la perla nascosta nel profondo della nostra interiorità. E’ un verbo silenzioso che è necessario liberare dall’involucro in cui è racchiuso, perché possa risuonare con la stessa vibrazione dell’energia celeste di cui è parte.

Allora la persona potrà spezzare i legami della materia, le catene ferree che la avvincono alla dimensione dello spazio e del tempo, della necessità e della casualità, per divenire signore della natura e del cosmo. Ella potrà vedere ciò che fu e ciò che sarà, proiettare il proprio corpo sottile da una parte all’altra della terra, immergersi nella contemplazione dei regni invisibili. Ella potrà piegare a favore dell’umanità le leggi che legano la materia, chiedendo con umile sottomissione ed ottenendo quelli che il popolo chiama miracoli e prodigi ma che altro non sono se non l’irruzione nel nostro spazio – tempo della dimensione e delle leggi dello spirito. Così ella morirà a se stessa, alle proprie emozioni, ai propri bisogni, per divenire quell’entità angelica fatta di pura benefica energia, che era stata prima che il suo fluire nel tempo avesse inizio. Pochi fra noi raggiungono per grazia quello stato: numerosi testimoni assicurano che Pio da Pietrelcina fu tra questi.

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