RenzoManetti

Gestualità e ritualità del sacro: la mistica del Graal

Poco tempo fa partecipavo ad una messa.

Al momento della consacrazione, il giovane sacerdote prese l’ostia con la mano destra e d’impeto la sollevò alta sopra la testa, col braccio teso, mostrandola ai fedeli.

Quel gesto mi ha fatto pensare, perché a mio parere non si confaceva alla sacralità del rito. La Chiesa infatti chiede al sacerdote di prendere l’ostia con entrambe le mani e di sollevarla così, con le mani congiunte. E la differenza è enorme, non di forma, ma di sostanza.

Il gesto del giovane sacerdote infatti ha fatto dell’ostia un vessillo, uno stendardo, da mostrare come un simbolo. Ma così facendo ha dimenticato la Presenza, perché quel piccolo disco bianco, consacrato, non è un simbolo, ma il Trono immacolato della Vita. E questo è il cuore della nostra consapevolezza cristiana, altrimenti la messa e la liturgia non servono a nulla.

Quando il sacerdote solleva l’ostia con entrambe le mani ed alza le braccia al cielo, ecco che quel disco esile diventa il vertice di un triangolo e ne mostra la Natura: vi si riassume la Trinità.

E in essa le due braccia si congiungono, le due parti opposte del celebrante, la destra e la sinistra, il maschile ed il femminile, il positivo ed il negativo, nell’Assoluto che tutto racchiude ed in cui non vi è divisione.

Ecco che il gesto rituale diffonde la sacralità di quell’ostia, nella quale l’imposizione delle mani ha introdotto la Presenza, quel Pensiero che divenuto Parola crea continuamente la Vita. Quell’esile supporto è divenuto il Graal.

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