RenzoManetti

FATIMA 13 MAGGIO 1917

 

Le apparizioni di Fatima rappresentano una visione profetica, avvenuta sul finire del secondo millennio, esplicito annuncio di un periodo di profondi e traumatici mutamenti, che segnano la fine di un’epoca e l’inizio di un grandioso processo di rinnovamento dell’umanità. Gli avvenimenti del secolo scorso ne fanno parte e sono stati preannunciati.

Fatima tuttavia non è solo un ammonimento, ma anche un messaggio di speranza e di fratellanza, rivolto a Cristiani, Ebrei e Musulmani da una Donna celeste che si annuncia come Madre di tutti. Possiamo infatti scorgere nella simbologia delle apparizioni elementi che si riferiscono non solo ai Cristiani, ma a tutte le religioni che si riconoscono nella discendenza di Abramo.

Per comprendere questi simboli, dobbiamo aver chiaro che la figura della Femminilità Celeste non è appannaggio solo dei cristiani cattolici ed ortodossi, ma elemento comune alla tradizione esoterico – spirituale di Ebrei e Musulmani. Il culto mariano ebbe in Occidente un rinnovato sviluppo a partire dal XII secolo, in coincidenza con l’improvvisa apparizione di una corrente mistica analoga nel mondo ebraico e islamico. L’importanza che venne data alla venerazione per Maria, a cui furono dedicate le grandi cattedrali, trova infatti un immediato riscontro con quanto i cabbalisti venivano esplorando nel mistero della Shekhinah, cioè della Presenza dell’Eterno, intesa come elemento femminile interno al divino e dotato di propria autonomia. Nel Corano la figura di Maria occupa un posto di grande rilievo: vi è citata ben 25 volte, ribadendo e confermando la credenza cristiana nel suo parto verginale. E’ significativo il fatto che quando Maometto ordinò di distruggere tutti gli “idoli” che si trovavano nella Ka’aba, volle risparmiare solo un’icona della Vergine col Bambino. Ma è soprattutto nella gnosi sciita che troviamo una sorprendente femminilità celeste, che presenta forti analogie con la Shekhinah ebraica: si tratta della figura di Fatima, la figlia del Profeta.

Siamo di fronte ad una convergenza sorprendente, sia per il tema che per la contemporaneità dell’elaborazione, che dimostra un legame stretto della mistica esoterica delle tre grandi religioni. Esaminiamo più da vicino gli elementi comuni.

Nella teologia sciita, Fatima rappresenta sia il corpo mistico dell’umanità che l’anima trasfigurata. Con l’insuperata suggestione delle parole di Henry Corbin: “Fatima-Sophia è l’Anima, l’Anima della creazione, l’anima di ogni creatura, e cioè quella parte costituiva dell’essere umano che si presenta alla coscienza immaginativa essenzialmente sotto la forma di un essere femminile, Anima. Essa è l’eterno femminino nell’uomo e per questo l’archetipo della Terra Celeste; essa è il paradiso e ne è l’iniziazione”.

Le analogie fra la figura di Fatima e quella di Maria sono molte: una tradizione la ritiene un frutto del Paradiso donato da Dio al Profeta, e la pone così su un piano analogo a quello prefigurato dal dogma cattolico dell’Immacolata Concezione. Si tratta di un dogma nel quale si nasconde una verità profonda: Maria vi è infatti proiettata fuori della dimensione del tempo e dello spazio, come se già al momento del suo concepimento in Lei si condensasse la femminilità eterna di Dio. Tornano alla mente le parole sublimi di Dante: ”Termine fisso d’eterno consiglio”. Come Fatima, Maria non è mai stata cacciata dall’Eden e ne porta dunque il profumo ed il sapore sulla terra. Come Maria anche Fatima ha concepito rimanendo vergine, ed è stata definita “madre di suo padre”: siamo in presenza di un paradosso analogo al dantesco “figlia del tuo figlio” ed in Lei gli opposti convergono e la logica razionale si inchina alla sapienza.

Nell’Ebraismo la Donna Celeste assume il volto della Shekhinah, la Presenza di Dio. Si tratta della decima fra le sephirot, manifestazioni nelle quali la Cabbalà riconosce il respiro e la vita arcana dell’Eterno, concepite come un albero con le radici nella terra e la chioma nel cielo. La Shekhinah (o Malkhut) è quella più vicina alla base e all’umanità. Ella fu definita come Madre, quindi come Sposa, con un significativo richiamo al Cantico dei Cantici, infine immagine della Knesset Israel, l’Ecclesia di Israele. Come Maria per i Cristiani è figura della Chiesa e della Gerusalemme Celeste, così la Shekhinah si identifica con la comunità mistica di Israele: “Tutto ciò che nelle interpretazioni talmudiche del Cantico dei Cantici era stato detto della comunità di Israele come figlia e sposa, secondo questa identificazione veniva ora applicato alla Shekhinah” (Gershom Scholem).

Il libro dello Zohar applica alla Shekhinah il simbolismo della porta, definendola porta inferiore dalla quale dipendono e scaturiscono tutte le altre di comunicazione col cielo. Ma la porta è figura anche di Maria, come spiega Proclo di Costantinopoli nel V secolo: “Come dice il profeta Ezechiele: Mi fece voltare il Signore verso la porta esterna del santuario che guarda a oriente: essa era chiusa. E il Signore mi disse: Figlio dell’uomo, questa porta resterà chiusa, non verrà aperta. Nessuno passi per essa, ma solo il Signore Dio di Israele. Egli entrerà ed uscirà e la porta resterà chiusa. Ecco, abbiamo mostrato Maria, la santa Madre di Dio”.

Il Padre Vannucci, dell’Ordine dei Servi di Maria, riassumeva con queste parole il carattere universale ed archetipale della figura di Maria: “Invochiamo Maria Regina degli angeli, delle stelle, delle acque, delle piante, dei fiori, degli animali, degli uomini, per indicare che Lei, nel suo mistero archetipale, nella sua realtà nell’invisibile è la Porta che mette in comunicazione l’Assoluto unico con la molteplicità svariata delle creature, nelle quali è presente come centro verginale e fecondo. L’Immacolata Concezione, Immacolata visione del mondo creato, posta tra l’eternità e il tempo, come l’essere perfetto e imperfezionabile subito dopo Dio, è lo specchio in cui Dio contempla se stesso, è il perno di ogni legge, avulsa da ogni altra legge che non sia quella dell’Amore perfetto. Regina degli angeli, nati dopo di Lei, Madre degli uomini, ancora nella mente di Dio ma già pensati ed amati. Essa è la Sapienza, la celeste Sofìa che nutre di sé le anime create, la Madre dei tempi fuori del tempo, la medicina preparata prima che la malattia fosse”.

Nella sfera del sacro non esistono coincidenze: il mondo divino si manifesta con segni, a volte insignificanti, ma nei quali la casualità non ha mai posto. Se dunque Maria è apparsa in un luogo che porta il nome della Donna Celeste onorata dall’Islam, non siamo di fronte ad un fatto casuale, ma ad un messaggio. Poco importa se nel Medio Evo la zona sia stata o meno abitata da una comunità sciita, e perciò cosciente del mistero fatimita, come alcuni sostengono sulla base di un’interpretazione dei toponimi: il sigillo di Fatima è nel nome stesso del luogo. Un antropologo portoghese ha scritto che in realtà a Fatima non sarebbe apparsa la Madonna dei Cristiani, ma la figlia del Profeta: tralasciando l’evidente volontà di pubblicizzarsi con una tesi che si sperava desse scandalo e perciò notorietà al suo autore, la questione non esiste, perché nella sua essenza archetipale Fatima è Maria.

Ma, nelle apparizioni di Fatima, Maria si presenta anche come la Madre degli Ebrei, utilizzando il simbolismo dei numeri proprio della spiritualità mistica dei cabbalisti. Nella tradizione cabbalistica, accolta anche dall’esoterismo cristiano, i numeri sono infatti l’impronta di Dio, immagine e manifestazione della Sua vita misteriosa. E’ così possibile cogliere attraverso di essi l’armonia che Dio ha emanato nella sua creazione, il ritmo segreto del suo manifestarsi.

Anche le lettere dell’alfabeto ebraico hanno una grande potenza conoscitiva, perché in esse riverbera la Parola creatrice. E’ significativo che ogni lettera, la quale evidentemente manifesta una vibrazione, abbia anche un valore numerico, perché nell’alfabeto ebraico non esistono cifre ma solo lettere; lettere e numeri sono dunque una cosa sola. La Cabbalà elabora la propria scala verso la conoscenza anche attraverso queste corrispondenze: parole con identico valore numerico, sottintendono una medesima realtà.

La tradizione cabbalistica associa alla Shekhinah il simbolo della Rosa, che è il fiore di Maria; non so se questa associazione esista anche nel mondo musulmano per Fatima, ma alla luce di quanto detto finora, la cosa non mi sorprenderebbe. La Rosa Mistica, con cui nelle litanie lauretane è invocata Maria, ha nella Cabbalà dei riferimenti numerici precisi: “Come la rosa ha tredici petali, così la comunità di Israele ha tredici attributi di pietà, che la circondano da ogni parte. Anche Dio dal momento che fu ricordato per la prima volta fece scaturire tredici parole che ricordassero la comunità di Israele e la proteggessero: poi fu ricordato per la seconda volta. Perché il nome di Dio fu ricordato per la seconda volta? Per far scaturire le cinque foglie forti che circondano la rosa, che sono chiamate salvezze e costituiscono cinque porte” (Zohar).

Nella Genesi intercorrono 13 parole tra la prima citazione del nome di Dio e la seconda; tra la seconda citazione e la terza ne intercorrono altre 5, considerate dalla Cabbalà le 5 porte necessarie per penetrare il mistero della divinità. Così la Shekhinah, la prima delle porte, prima fra le manifestazione di Dio, accoglie in sé il ritmo del tredici e quello del cinque.

Ebbene, a Fatima Maria è apparsa la prima volta il 13 di maggio del 1917, cioè il tredicesimo giorno del quinto mese, il mese della prima fioritura delle rose, ed ha continuato a manifestarsi il giorno 13 dei mesi successivi, fino ad ottobre, il decimo mese, in cui le rose hanno una seconda fioritura. La presenza dei due numeri sacri che connotano la Shekhinah è dunque chiara nelle date di inizio e fine delle apparizioni.

E’ secondario ma non irrilevante il fatto che le lettere del nome di Fatima abbiano lo stesso valore numerico di quelle di Maria.

Quanto all’anno 1917, è quello si della rivoluzione russa, ma soprattutto è un anno le cui cifre sommate danno Nove, il numero mistico nel quale Dante racchiude il mistero della Profezia, delle quali la sua Beatrice è icona.

Maria sembra così proclamare di essere Colei che l’Islam esoterico chiama Fatima e gli Ebrei Presenza divina. Il messaggio di Fatima non può allora essere riservato solo ai Cristiani, ma racchiude un senso segreto, che è l’invito alle tre religioni abramitiche a costruire insieme la Gerusalemme celeste a partire da quella terrena. Un messaggio per questo nuovo millennio, che è contraddistinto anch’esso da un numero di grande significato mistico, il ventuno: è infatti al ventunesimo capitolo dell’Apocalisse che discende dal cielo la Gerusalemme celeste, figura della sposa, della madre e della Ecclesia, cioè di Maria e della Schehkinah. Il 21 è numero generato da 3 moltiplicato per 7. Nel 3 si esprime la potenza creatrice, nel 7 è rappresentata invece la creazione, compiuta in sette giorni. Il settenario costituisce anche la base del calendario lunare, ben più antico di quello solare. Nel 21 si racchiude dunque il segreto dell’Energia creatrice che si unisce alla sua opera come uno sposo alla sposa. Nella dimensione del sacro non ci sono coincidenze: dunque il XXI secolo può coincidere con il ventunesino capitolo dell’Apocalisse, l’epoca nella quale il Verbo si manifesterà con potenza. E’ l’epoca di costante ma irreversibile rinnovamento dei tempi della quale, nelle Conclusioni Cabbalistiche, Pico della Mirandola poneva l’inizio l’8 dicembre del 2000, ultima festa dell’Immacolata Concezione prima del XXI secolo.

Molti sorrideranno di quello che ho scritto, è nella natura delle cose che sia così; altri, come un piccolo resto di Israele, invece rifletteranno e cominceranno a ritenere possibile che a Fatima un’entità trascendente abbia detto: Io sono Colei che onorate con i titoli di Madonna, di Fatima, di Presenza, io sono infatti la Madre, la Gerusalemme che viene, il Luogo benedetto, la Porta comune a tutto il popolo santo dei discendenti di Abramo, attraverso la quale adorare in concordia e pace, ognuno con la sua fede, l’unico comune Dio.

Non è il numero delle persone che comprendono il messaggio di Fatima quello che conta: l’importante è che il seme si diffonda, in questi tempi intrisi di guerra, di crudeltà e di intolleranza, soprattutto in quella terra che ha visto fiorire le prime comunità cristiane ed ha impressi ancora i passi, il dolore e la gloria del Cristo. Dobbiamo essere certi che le sofferenze e le tragedie di questi anni sono il necessario travaglio che precede il parto di un’era di Pace.

Ci è stato annunciato a Fatima.

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